Esercizio fisico efficace nel PTSD
aggravato da polimorfismo del BDNF
DIANE RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 10
novembre 2018.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Gli studi sul disturbo
post-traumatico da stress (PTSD) proseguono con l’interesse della comunità
neuroscientifica e medica, perché la conoscenza dei suoi meccanismi può essere
utile sia per comprendere i criteri fisiologici di interazione fra i grandi
sistemi che regolano l’equilibrio interno del cervello e i sistemi periferici
dell’organismo, sia perché la conoscenza analitica degli eventi patogenetici
può consentire lo sviluppo di strategie terapeutiche più efficaci di quelle
attuali e verosimilmente impiegabili in molti altri disturbi d’ansia e da stress.
Studi recenti hanno evidenziato l’importanza dei
livelli di BDNF nell’espressione clinica della sindrome che si sviluppa dopo
uno stress traumatico: bassi livelli
del fattore neurotrofico derivato dal cervello sono stati associati ad una più
grave espressione sintomatologica del PTSD. È stato rilevato che l’allele Met del polimorfismo Val66Met del BDNF si associa ad
un’accentuata reattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-midollare surrenalica,
alla compromissione della funzione fisiologica di estinzione della paura e a
bassi livelli del BDNF stesso. Come risultato, i portatori dell’allele Met sono di fatto a rischio di sviluppare una sindrome
post-traumatica molto più grave di quella che può insorgere nei non-portatori.
Uno studio, che ha visto la collaborazione del National Center for PTSD (USA) con
l’Università di Yale e istituzioni mediche hawaiane, ha esaminato il rapporto
fra il polimorfismo Val66Met del BDNF e le manifestazioni cliniche del PTSD in
due campioni numerosi e rappresentativi della realtà nazionale statunitense,
verificando anche il rapporto con l’esercizio fisico.
(Pitts B. L., et al. BDNF Val66Met polymorphism and
posttraumatic stress symptoms in U. S. military veterans: Protective effect of
physical exercise. Psychoneuroendocrinology 100: 198-202, 2018).
La provenienza degli autori è la seguente: U.S.
Department of Veterans Affairs VA Pacific Islands Healthcare System, Honolulu,
HI (USA); U.S. Department of Veterans Affairs National Center for Posttraumatic
Stress Disorder, Clinical Neurosciences Division, VA Connecticut (USA); Healthcare
System, West Haven, CT (USA); Department of Psychiatry, Department of
Neurobiology, Yale University School of Medicine, New Haven, CT (USA).
Recentemente, un articolo di Giovanni Rossi ha
ricostruito con sintetica ed efficace compiutezza la storia della ricerca
scientifica sulla neurofisiologia dello stress
e sulle basi fisiopatologiche dei disturbi da stress e, in particolare, del disturbo post-traumatico da stress (PTSD), a partire dagli studi
pionieristici di Walter Cannon e Hans Selye. Raccomandando la lettura di quel testo, che include
anche dati e nozioni interessanti sull’evoluzione della concezione clinica e
sulle lesioni da stress rilevate
mediante RMN (risonanza magnetica nucleare), quale introduzione all’argomento,
ne riportiamo di seguito un breve stralcio:
«Quindi, mentre Cannon
identificava lo stress con gli agenti
stressanti (stressors),
per Selye lo stress
era costituito dalla risposta che questi inducono nell’organismo e, in ultima
analisi, dalla stessa sindrome di adattamento. In estrema sintesi, si può dire
che a Cannon dobbiamo la scoperta dell’attivazione
del sistema simpato-adreno-midollare
e a Selye quella dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene”[1].
Tutti gli studi successivi hanno preso le mosse
dalla base fisiologica individuata da Cannon e Selye.
La concezione attuale è stata così esposta in
sintesi: “Oggi definiamo lo stress come
uno stato di disarmonia o di alterata omeostasi che può essere provocato da
vari fattori di natura fisica e/o psichica (agenti stressanti o stressors) e al
quale l’organismo reagisce specificamente attivando una serie di meccanismi
fisiologici di natura neuroendocrina (sistema dello stress) che innescano e/o modulano una serie di funzioni fisiche e
comportamentali (risposte adattative),
aventi lo scopo di adattare l’organismo alla nuova condizione e di ripristinare
l’omeostasi iniziale”[2].
Fra i meccanismi di sistema ritenuti responsabili
della patogenesi dei sintomi del PTSD, quale esito patologico di stati
protratti di alterata omeostasi, vi è quello che implica l’intervento del locus coeruleus.
In sintesi: eventi stressanti o minacciosi, riconosciuti ed elaborati dalla
corteccia cerebrale, raggiungono l’amigdala, che può essere attivata anche da
evocazioni o stimoli elaborati inconsciamente; l’amigdala rilascia il CRH che
attiva la produzione simpatico-midollare di adrenalina e stimola l’asse
ACTH-cortisolo, preparando l’organismo alla fuga o all’attacco. Se lo stress perdura o è molto intenso, il
cortisolo attiva il locus coeruleus che, mediante la noradrenalina, stimola
l’amigdala a produrre CRH, innescando il circolo vizioso ritenuto responsabile
della patogenesi[3]»[4].
Il danno cerebrale da stress interessa al livello cellulare e molecolare vari sistemi,
fra cui quello del glutammato, con alterazione del potenziamento a lungo
termine (LTP), i recettori serotoninergici e le neurotrofine. Tralasciando una
descrizione di queste alterazioni, che esulerebbe dai limiti di questo
articolo, si fa qui solo un cenno agli studi sul BDNF, oggetto del lavoro qui
recensito.
Il BDNF, che esercita effetti trofici su molte
aree encefaliche, con l’ippocampo quale sede d’elezione, è marcatamente ridotto
nel cervello per effetto dello stress.
Tale riduzione è stata spiegata, in parte quale conseguenza dell’aumento dei
glucocorticoidi (cortisolo nell’uomo), e in parte per effetto della
stimolazione dei recettori serotoninergici 5-HT2A. Considerata
l’importanza dell’azione trofica di questo peptide, la sua drastica riduzione
potrebbe avere un ruolo non secondario nell’atrofia dell’ippocampo che
caratterizza il PTSD e, in particolare, nella morte cellulare che la causa[5].
Pitts e
colleghi hanno indagato il rapporto fra il polimorfismo Val66Met del BDNF e la
gravità dei sintomi del PTSD in due campioni rappresentativi per gli USA, costituiti
da veterani (reduci) dell’esercito, cittadini americani di remota origine
europea (campione principale, n = 1386; campione di replica, n = 509).
I risultati hanno rivelato che, rispetto agli
omozigoti Val/Val, i portatori dell’allele Met facevano
rilevare una maggiore gravità delle manifestazioni cliniche durante la vita e
dei sintomi di PTSD attualmente presenti; in particolare, il sintomo del
rinnovarsi in mente, improvvisamente e intrusivamente, dell’esperienza del
trauma. I portatori dell’allele Met con un pesante
fardello di esperienza traumatica riferivano anche una maggiore gravità di
tutti i sintomi di PTSD nel corso della vita e nel mese precedente lo studio.
Un aspetto rilevante e di grande interesse
terapeutico è che i pazienti con un elevato e costante impegno nell’esercizio
fisico presentavano un effetto positivo di moderazione di questa interazione
gene-ambiente, espresso in una notevole riduzione delle manifestazioni
percepite soggettivamente, come in quelle rilevabili oggettivamente. Specificamente,
tra i veterani con un PTSD con grave peso sintomatologico nel corso della vita,
i portatori dell’allele Met che regolarmente
praticavano esercizio motorio presentavano una gravità minore dei singoli
sintomi rispetto agli altri portatori che non compivano esercizio fisico.
I risultati di questo studio indicano che gli
interventi concepiti per supportare e incoraggiare l’esercizio motorio possono
aiutare a mitigare i sintomi anche in coloro che hanno la sfortuna di essere
portatori dell’allele Met ed essere esposti ad eventi
gravemente traumatizzanti.
L’autrice della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione
della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono
nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella
pagina “CERCA”).
Diane Richmond
BM&L-10
novembre
2018
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International Society of Neuroscience, è registrata
presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16
gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e
culturale non-profit.
[1] G. Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD),
p. 11, Dipartimento di Neuroscienze, Università Federico II, Napoli 2005.
[2] G. Perrella, op. cit., p. 11. Si
descrivono una risposta centrale ed
una periferica. La centrale è caratterizzata dall’aumento
della vigilanza nello stato di veglia e dall’allerta, fino all’allarme vero e
proprio, con accentuazione dell’attenzione scopica,
perlustrativa ed esplorativa, associato ad incremento della capacità recettiva
con eretismo estesico; inoltre, si ha un
miglioramento della memoria impressiva. La risposta periferica include le modificazioni fisiologiche neurovegetative
che interessano i sistemi endocrino, respiratorio, cardio-circolatorio,
gastroenterico, tegumentale, con le azioni visceroeffettrici
ghiandolari, incluse quelle interessanti le ghiandole sudoripare (sudorazione adrenergica).
[3] Ricordato anche nella nostra
rubrica “Alfabeta” e citato in
numerose note, è riportato ne Il locus coeruleus
rivisitato in “Note e Notizie”
del 9 aprile 2016.
[4]
Note e Notizie 15-09-18 Disfunzioni di circuito nel disturbo post-traumatico da
stress.
[5] G. Perrella, op. cit., p. 40.